Illustrato del 22-12-1979
IL PRESEPE A NAPOLI

Tutta Napoli a San Martino - II parte

di Marina Causa Picone

Le macchine Cuciniello e Ricciardi funzionano ancora. Ne fa credito la folla che sì assiepa nelle sezioni presepiali del Museo. Ne fa credito la folla che si ritrova a San Gregorio Armeno.
Di terracotta, e di tutte le misure, i pastori si fanno ancora: di terracotta compri trenta, porti a casa dieci. Di plastica, tanti ne compri, tanti ne ritrovi, ma sono anonimi e tristissimi come i fiori finti.
Rompiamo, è fine d'anno e salviamo ancora la tradizione del Presepe.

Dall'alto della critica grande sommovimento è intorno ai pastori. Intorno alla attribuzione dei pastori. E chi vi ha mai Pensato? E' importante?
Certo vi abbiamo pensato. Ma solo quando abbiamo sentito che a far compagnia ai pastori erano i nomi roboanti degli scultori quelli che nel '700 si trovano impegnati nelle grandi imprese di scultura dentro e fuori la città.
Vi abbiamo pensato, quando quest'arte decorativa, o artigianato decorativo così spiccatamente vivace e regionale (Napoli divide con la Sicilia questa tradizione, solo che lì il pastore è figura drammatica diversamente intesa entro un diverso contesto ambientale) pretende di spartire metà e metà con l'arte, con Sanmartino, i Bottiglieri, i Vaccaro Lorenzo e Domenico Antonio, e Celebrano. E poi, si badi bene si può parlare solamente di mani e di volti, essendo il resto del corpo un manichino paludato in vestiti fatti, rifatti e nuovi.
Questa considerazione esclude a priori la possibilità di vedere il pastore come una scultura. Mani, Piedi e testa non sono sufficienti a fare una figura.
Il pastore non può fare il solista e non regge il monologo, tanto meno la solitudine ghiacciata della vetrina, sganciato dal tessuto narrativo dello scoglio.
Non c'entra la grande tradizione degli Alamanno, dei Belverte, dei Mazzoni. Quella era scultura questo è Presepe.

L'argomento resta relegato ai margini di un discorso critico-serio; gli storici dell'arte hanno quasi il timore di sporcarsi le mani con un genere consegnato per secoli e per consuetudine nel dorato ghetto degli amatori e delle amatrici o dei collezionisti.

Leggiamo Antonio Perrone, che scrive nel 1896: "dove sieno capelli massosi e lunghi è Sanmartino o per la forma degli orecchi acuminati della parte superiore; esso ha superato tutti gli artisti di figure per presepe, tanto che da alcuni è stato assimilato al Buonarroti".

Ed ancora... "Fu il Tozzo specialista per mani e piedi in legno; i primari scultori gli mandavano le teste ed egli ne eseguiva le mani e i piedi in legno a seconda dell'età e dei carattere che rappresentava".
Se poi ci mettiamo anche "Matteo per la grazia con la quale sapeva vestire i pastori" (ma al Matteo successe un certo Giovanni Ferri al Pendino, che aveva l'abitudine di "vestire i pastori con le spalle strette"), se il conto torna siamo almeno in tre o in quattro mani. Creazioni a tante mani non si sono mai fatte, esecuzioni, semmai.

Il Notaio Raffaele Servillo incaricava per l'acquisto dei pastori lo scultore Ingaldi, pagava per tutto l'anno il pittore paesista Raffaele Gentile, che dipingeva a Natale lo sfondo dello scoglio ed anche le stanze della sua casa che precedevano il Presepe.
Pagava anche ducati nove al mese ad una monaca di casa che aggiustava e confezionava i vestiti dei pastori (abbiamo scoperto un'altro. compito della monaca di casa) e pagava uno che portava l'erba fresca di Pietramelara.
"Invitò una volta il Gori a situare i pastori, pensò finanche di versare del vino nuovo nell'interno della cosidetta Taverna che tramandava un odore, da attirare i visitatori, ai quali sembrava come se fossero in un cellaio".
Raffaele Servillo faceva le cose in grande ed aveva di che divertirsi per tutto l'anno.
Altro che televisione, un divertimento solo per lui.


fab05: Sebastiano Fergola: Dipinto riproducente il presepe reale del 1844
Caserta, Reggia. Foto Luciano Romano

Il testo del Perrone, a parte certe ingenuità di scrittura, ci sembra tutt'ora valido.
Noi siamo conservatori delle tradizioni popolari e fin qui tutto va bene. Ma poi abbiamo preso il pastore e gli abbiamo dato la laurea di scultura, lo abbiamo messo nella vetrina e gli vogliamo dare un nome.
Vengono fuori le firme. Ma le firme che vengono fuori, a Napoli come a Monaco, sono una parvità rispetto alla quantità dei genere. E poi, quali firme vengono fuori? Quelle di Ingaldi, De Luca, Di Franco, Genzano, Schettino, Mosca, De Casa. Pastorari, non certo scultori.
Sul verso del corsetto di Silvestra Pane a Napoli si legge "S. Martino f. a. 1756". Può essere e può non essere. Il Berliner da Monaco non ci crede. Sanmartino avrebbe scolpito Silvestra Pane tre anni dopo il Cristo morto della Cappella Sansevero e almeno dieci anni prima delle grandi sculture per la Chiesa della Certosa: un secondo lavoro sicuro e redditizio di pastoraro, Raimondo di Sangro e Certosini permettendo.
Ma non è questo che conta.
L'avvento delle firme non deve servire a cavare stizzosamente il sugo di una seconda attività dei Sanmartino, dei Bottiglieri, dei Vaccaro, dei Celebrano, ma di caratterizzare un genere che ha una sua precisa identificazione.
E così gli Ingaldi, i De Casa, i Mosca, i Gori, e i Vassallo caleranno sullo scoglio e il Presepe continuerà a spezzare il pane di Natale con l'albero.

Marina Causa Picone


Le immagini di questa pagina:
- ele08: da "Il presepe napoletano del settecento" a cura di Teodoro Fittipaldi. Foto di Giuseppe Gaeta. Electa, Napoli 1995
- ele09: da "Il presepe napoletano del settecento" a cura di Teodoro Fittipaldi. Foto di Giuseppe Gaeta. Electa, Napoli 1995
- fab05 da "Il presepe napoletano del settecento - i quaderni dell'antiquariato n° 23" - Fabbri Editori - testo di di Elio Catello