Elena Sica per Tascabili Economici Newton
IL PRESEPE NAPOLETANO
Storia e Folclore di una Grande Tradizione

Mitologie e Simbolismi nel Presepe Napoletano

4) I personaggi (pag. 3)



Gli ambulanti Gli offerenti Il pastorello dormiente Il bue e l'asinello



e) Gli ambulanti
In tutti i presepi si ritrovano le figurine dei venditori ambulanti sui cui banchi è esposta ogni sorta di cibarie.
C'è il pescatore, figura di chiaro significato allegorico, basti pensare, infatti, che sin dall'epoca dei primi cristiani, il pesce era assurto nei dipinti delle catacombe quale simbolo del Cristo e dei cristiani.
Vi si trova anche un'allusione al miracolo di Gesù della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

C'è il fruttivendolo che, nelle ceste in vimine intrecciate, mostra ricche pigne d'uva, pannocchie, melograni, prodotti non invernali ma dal significato augurale di ricchezza e abbondanza, soprattutto se letto in relazione all'arrivo del nuovo anno.
Forte, nella creazione di queste composizioni, la suggestione delle seicentesce nature morte.

Altra figura degna di nota è quella del venditore di maccheroni che esibisce immense caldaie colme di questo cibo, quasi a voler scongiurare la paura della fame, radicata presso la plebe napoletana.
Accanto al venditore di maccheroni compare, spesso, il mangiatore di maccheroni.
Nel 1793, il viaggiatore Gorani ne faceva una dettagliata descrizione:
«Un uomo del popolo va da un venditore di maccheroni, si fa dare un piatto di legno colmo di pasta ben bollente sulla quale ha aggiunto del formaggio grattugiato; prende i maccheroni con le mani, li attorciglia con un gioco di destrezza che gli stranierì sanno raramente imitare [ ... ]
I venditori di maccheroni hanno delle caldaie immense piene di questo cibo. Tutto il condimento consiste in una mezza libbra di grasso di maiale fuso in questa massa enorme con un po' di sale
».

Che i maccheroni fossero da gran tempo il cibo dei napoletani, lo prova ampiamente questa cronaca di Bulifon:
«Ai tredici di gennaio 1617, il duca di Ossuna, viceré del regno, dopo essere stato alla processione di Santo Antonio, si portò con la viceregina e con diverse altre dame a Poggioreale, ove aveva fatto preparare un festino reale e corte imbandita per molta gente.
Fece mettere nella peschiera una quantità di mezze botti di vino, aperte dalla parte di sopra e tra quelle fece accomodare molte tavole al popolo minuto, che erano più di diecimila persone della plebe ivi concorsa; di cui so prese S.E. gran diletto in vederla scialacquare e mangiare i maccaroni allà napolitana con le mani a branca
».

Furono cronache e racconti come questo a far nascere la credenza che i napoletani mangino i maccheroni con le mani, o meglio con tre dita riunite a punta come fossero forchetta, alzando in alto i maccheroni e lasciandoli calare nella bocca spalancata.

Oltre ad avere un loro significato popolare, queste figure esprimono pienamente la condizione della popolazione partenopea, quale si evince in tanta letteratura che ritrae vocianti mercati, brulicanti vicoli, trafficati porticcioli.

f) Gli offerenti
Ovunque il presepe è pervaso da una nutrita schiera di pastori che, mossisi da ogni dove, si recano alla grotta portando doni al Bambin Gesù.

Degno di nota e onnipresente è il pastore che, seguito dal gregge, reca al collo un piccolo agnello da donare al Neonato; gesto dal chiaro significato sacrificale, ma anche colmo di valenze simboliche, poiché, nelle Scritture, Gesù è identificato col pastore-guida del gregge dei cristiani.
Tale figura assume connotati drammatici se si pensa al Cristo immolato, come un innocente agnello, per il perdono dei peccati.

g) Il pastorello dormiente
Il pastorello dormiente, altra presenza costante sul presepe, altro non è che un riferimento a quanto affermato dalle Scritture: «E gli angeli diedero l'Annunzio ai pastori dormienti», ma anche riferimento al sonno in cui, nelle società primitive, sprofonda il Neofita durante il rito d'iniziazione, rito che segna il passaggio dall'età della fanciullezza a quella adulta.

Generalmente l'iniziazione comporta una triplice rivelazione: quella del sacro, quella della morte e quella della sessualità.
Il fanciullo ignora queste esperienze; l'iniziato le conosce, le assume e le integra nella sua nuova personalità.
Si aggiunga che se il neofita muore alla propria vita infantile, profana, non rigenerata, per rinascere a una nuova esistenza, santificata, rinasce anche a un modo d'essere che rende possibile la conoscenza.
L'iniziato non è soltanto un nuovo nato, o un resuscitato, è un uomo che sa, conosce i misteri, ha ricevuto la Rivelazione.

Il risveglio è considerato rinascita a nuova vita, così, per il pastorello dormiente, il risveglio altro non sarà che la presa di coscienza della nascita di un Nuovo Re e, conseguentemente, di una nuova era.

h) Il bue e l'asinello
E' un motivo che ricorre costantemente nelle figurazioni presepiali, anche nelle più antiche.
Malgrado la sua antica e costante popolarità, la leggenda che alla nascita di Gesù assistessero un bue e un asinello, riscaldanti, col tepore dei loro fiati, il Divino Pargoletto, assiderato, sembra di origine non popolare, ma letteraria, ossia patristica.
Sembra che tale motivo fosse inteso dagli scrittori Origene, Prudenzio e Ambrogio quale semplice allegoria del riconoscimento della divinità da parte di ebrei e di gentili. Ad ogni modo, che il «bue e l'asinello adoreranno il Re» era una profezia di Isaia e di Abacucco, come ben si evince dal Vangelo apocrifo, compilato in latino, nel VI secolo, e conosciuto col nome di Pseudo-Matteo.
Nel racconto dello PseudoMatteo, belve feroci, quali leoni, orsi, lupi, accompagnano la Sacra Famiglia nel deserto, indicano la strada e adorano Gesù Bambino.

Bisogna, inoltre, ricordare tre cose: in primo luogo, che la leggenda del bue e l'asinello venne canonizzata dalla Chiesa tanto nell'ufficio della Natività, quanto in quello della circoncisione.

La seconda, che il motivo dell'improvvisa mansuefazione delle belve venne esteso anche alla notte di Natale, dando luogo, fra le altre produzioni letterarie, anche alla "Pastorale degli zampognari", ossia una canzoncina in dialetto napoletano, composta in epoca imprecisata da un ignoto autore:
Non c'erano nemice per la terra
la pecora pascea co lo lione,
co lo caprette
se vedette lu liopardo pazzià,
l'urzo c'ò vitiello,
e co lo lupo'mpace'u pecoriello.
La terza, infine, che la giubilante, festosa e variopinta partecipazione di tutto il mondo animale alla nascita del Messia fornì argomento alla credenza popolare, nemmeno oggi del tutto sopita, che in quella notte benedetta si compisse, tra gli altri, anche il prodigio che le bestie acquistassero, per qualche ora, la favella.


Edit by TaSa-Soft 6-2000