Illustrato del 22-12-1979
IL PRESEPE A NAPOLI

I 'fuoriclasse' del Presepe
Chi furono, come operarono gli scultori napoletani specializzati nelle figure presepiali.

di Gennaro Borrelli

Al presepe artistico napoletano hanno dato il loro apporto nel Seicento e nel Settecento numerosi scultori e modellatori, alcuni dei quali veramente di livello europeo; taluni di questi, anzi, erano ben noti anche come scultori di veri e propri monumenti.

E' possibile giungere ad una schedatura di questi autori?
Già a questo lavoro si dedicò, nel 1950, Bruno Molajoli al quale si deve un primo repertorio composto da cinquantatrè nomi di artisti di figure per il presepe napoletano del Settecento.
A questo primo inventario c'è da aggiungere quello approntato dal sottoscritto, comprendente venticinque scultori di figure lignee, operanti fra il 1630 circa e la fine dell'Ottocento.

Lo scultore Lorenzo Vaccaro (1655-1706) è da considerare l'iniziatore della casistica settecentesca delle figure con teste in terracotta; tra la poliedrica attività di creatore di modelli per le fusioni in argento, di stuccatore, di pittore, di fantasioso impaginatore di "macchine da festa", sono da inserire gl'introvabili "bozzi a tutta finitura" (in terracotta policroma) indicati dai contemporanei, di cui alcuni certamente di soggetto "presepiale".
Le poche figure di "mandriani" e "vecchi", dalle asciutte e realistiche forme e dal forte colore, rivelano il rapporto con le sue opere in marmo, come il bassorilievo del "Martirio di S. Gennaro", nella chiesa omonima di Pozzuoli.


Un gruppo di suonatori. Napoli, Museo di S. Martino, sala Perrone

Allievo e congiunto di L. Vaccaro fu Matteo Bottigliero (1685-1757) scultore di numerose opere in marmo i cui stilemi sono anche riscontrabili nella lunga serie di figure da presepe con le sintetiche maschere e capigliature, a massa, appena incise che sembrano tratte dai suoi ritratti in marmo, come il caso del busto Vicentino in S. Domenico Maggiore.
Il suo interesse spazia dai "re magi" ai "mandriani", dai "cantanti" ai "villici", dai "ricchi borghesi" ai "soffianti", non esclusi i personaggi per le scene dei "sacri misteri", come la discesa dalla Croce e la sepoltura di Cristo.

Allievo di Bottigliero fu Giuseppe Sanmartino (1720-1793) grande scultore in marmo e realizzatore, tra l'altro, del celeberrimo "Cristo velato" della cappella Sansevero, di Napoli, opera autenticamente settecentesca contemperante grande sensibilità e tecnica spericolata.
I suoi pastori rivelano una indagine psicologica ignota ad altri, come in alcuni ritratti di committenti di cui qualcuno firmato.
Questa sensibilità, resa attraverso una robusta plastica ed una risentita cromia resa a smalto, appare l'elemento distintivo, più che la formula delle "orecchie a tre punte, la scriminatura della parte superiore del cranio", ed altro enunciata dai descrittori ottocenteschi. Formula che, ripetuta dai suoi collaboratori e dai successivi plagitori, determinò uno smisurato catalogo dell'artista mentre nella realtà, il maestro plasmò un esiguo numero di figure, tutte individuabili attraverso lo stretto parallelismo con le sue opere in marmo.

Da lui attinsero gli allievi Salvatore Di Franco, Giuseppe Gori, Angelo Vita e Carlo Belliazzi i documenti hanno rivelato quest'ultimo collaboratore diretto del maestro, avallando, così, i dati della tradizione.

Il Viva (1758-1824) risulta documentato nella poliedrica attività di scultore in marmo, decorazione plastica, stucco e legno, oltre che in figure da presepe interamente modellate; egli fu anche divulgatore delle istanze neoclassiche temperate dall'affermato gusto rococò: moda che trasfuse nelle eleganti donne "orientali" dal profilo alla greca" e con i singolari veli copricapo.

Salvatore Di Franco (attivo dal 1770 al 1815) fu diretto allievo del Sanmartino; della sua produzione in marmo e stucco si conosce poco; come figuraro è documentato per il periodo che va dalla fine del secolo al primo ventennio dell'800.
Le sue figure, estremamente raffinate ed eleganti, esprimono un'ironia del tutto nuova, evidenziando l'aspetto "pacioccone", infingardo e godereccio della Napoli del tempo attraverso, i suoi ridanciani borghesi, tavernari e ruffiani.
Lo schematismo ottocentesco delle "facce puntute ed oblunghe" è da considerare in senso molto approssimato, in quanto è comune ad altri artisti.

Il più noto, ed affermato dei seguaci del Sanmartino, fu Giuseppe Gori, (attivo dal 1770 al 1820 c.a) esclusivo modellatore di pastori: le sue figure, rese attraverso una solida plastica integrata da un colore naturalistico, trasparente e smaltato, fecero epoca.
Per avere operato nella bottega del Sanmartino, ne assimilò a tal punto lo stile che molte sue figure furono, erroneamente, attribuite al suo maestro.
Il Gori trattò tutti i soggetti della vasta casistica presepiale: dai ricchi massari, ai viggianesi, dalla Sacra Coppia al gruppo dei pezzenti, dagli angeli ai re magi.


Re Magi. Napoli, Collezione privata

Autonoma, rispetto a quanto descritto, appare la posizione di Francesco Viva (1735 ca. 1803) di cui si conoscono le attività di plasticatore e di architetto di presepi (qualcosa molto vicino all'attuale concetto di regista) attraverso le figure firmate.
A lui, certo, è da attribuire l'ideazione del presepe a più punti di vista, creazione che consentiva una visibilità multipla e contemporanea delle varie scene in opposizione a quella tradizionale statica, frontale.

Francesco Celebrano (1729-1814) fu pittore, scultore e plasticatore di figure da presepe di cui qualcuna siglata che ha consentito di avallare quelle attribuitogli dalla tradizione.
Operò come pittore e scultore per il principe di Sangro, modellatore e direttore della R. Fabbrica di Porcellana di Napoli in periodo Ferdinandeo.
I suoi pastori, ispirati alla gente del contado, appaiono caratterizzati, da un risentito realismo espresso in volti torvi ed accigliati, integrati da una robusta policromia.


Notevoli e ricchi di carattere appaiono i gruppi di famiglia (nonni, genitori e figli) creati da Camillo Celebrano (1780 c.a - 1828) figlio di Francesco.
Il ripetere la tipologia dei contadini "dal mento aguzzo, prominente, chiuso tra forti mascellari" determinò una lunga serie di figure in gran parte plagiate dai seguaci.

Lorenzo Mosca (att. dal 1760 al 1780) è da considerare un dilettante dalla rara sensibilità che ebbe a plasmare figure da presepe scevre da reminiscenze della tradizione, risolte con decisivi e rapidi colpi di lama.
La capacità interpretativa del soggetto lo portò al successo determinando infinite richieste ed il conseguenziale sistema dei "cavi" da parte dei seguaci; fatto che spesso induce ad errate attribuzioni.

Altro sensibilissimo dilettante fu Giuseppe De Luca (att. dal 1785 al 1827): le sigle, le firme e le date da lui apposte hanno rivelato una vasta attività di modellatore di figure, animali e accessori nonché quella d'impaginatore di presepi.
Le sue eleganti figure risentono del clima neoclassico, nella morbida plastica e nel trasparente colore porcellanato dei singolari ritratti di committenti, eccezionali i volatili e le verdure.

Le fonti tradizionali indicano il Mosca ed il De Luca operanti presso la R. Fabbrica di Porcellana, ma recenti ricerche hanno smentito tale assunto, dimostrando invece che lo fu Francesco Gallo (att. dal 1770 al 1829) raffinato animalista e modellatore di frutta in cera.

I suoi animali firmati, e quelli modellati appositamente per il real presepe di Caserta, si presentano con un rigore plastico che denota l'esercizio presso la Real Fabbrica.

Altri notevoli animalisti, ed anche scultori furono Francesco Di Nardo e i due fratelli Nicola e Saverio Vassallo, attivi tra la prima metà del '700 ed il primo ventennio dell'800.

Ma oltre agli specialisti come i modellatori di verdure o di minuterie vi fu una schiera di artisti dilettanti che per tutto l'Ottocento continuò a produrre pastori alla "maniera" dei maestri a volta firmandoli, come l'abate Gesualdo De Casa, l'Oliviero, professore di disegno, Francesco Farina, Antonino Parente ed altri, unitamente agli Ingaldo, il cui ultimo componente era ancora vivo verso il 1918.
Gli Ingaldo costituirono una famiglia di plasticatori di cui Aniello e Nicola si mostrarono come gli antesignani di quel verismo che impererà nella seconda metà dell'800.

Così, attraverso le fasi del crudo realismo secentesco, del naturalismo settecentesco e del verismo, il presepe mostra di avere inteso per tempo la lezione del mutamento di gusto e di averlo in un certo senso anticipato, anche per mezzo, delle ardite scenografie, quasi cinetiche.
Forse i tempi sono maturi per intendere che il presepe fu un'arte a tutti gli effetti e forse a questo è dovuto il rinnovarsi dell'interesse intorno ai fatti del presepe napoletano ed ai suoi autori.