Illustrato del 22-12-1979
IL PRESEPE A NAPOLI

Arte e Costume nel Presepe Napoletano - III parte

(BRUNO MOLAIOLI)

Agli episodi tradizionali - la Nascita, l'Annuncio ai Pastori, il viaggio e l'adorazione dei magi - presto si aggiunsero nuove figurazioni di vita popolare e profana, di città e di campagna, e con particolare rilievo la rappresentazione della "taverna", il diversorium del racconto evangelico, che già da tempo accolto nei drammi liturgici, nel presepe divenne, trasformato in osteria, luogo e pretesto di profano spettacolo della gioia di vivere, occasione alla sempre più fitta e colorita esibizione di mense imbandite, sognato paradiso della povera gente.


Sk_3:Taverna, Caserta, Presepe della Reggia.
Foto di Luciano Romano

Gli studi più recenti hanno contribuito ad allargare i termini di tempo della affermazione del presepe a Napoli nel secolo precedente a quello della maggiore fama, il '700.
Si sono trovate notizie dei presepi che nel 1600 si costruivano ancora con figure di grandezza al naturale.
Si ha il ricordo di un presepe di dimensioni tali da occupare due intiere cappelle della chiesa del Gesù, e di altri presepi importanti nelle chiese di S. Maria in Portico, di S. Brigida, dì S. Chiara, di S. Paolo Maggiore, di S. Maria Donnaregina; mentre nel 1670 si rielaborava l'antico presepe degli Alamanni in S. Giovanni a Carbonara, entro una nuova scenografia consona ai tempi, su un fondale di passaggio dipinto a fresco.

Si ha anche notizia di presepi costruiti, per la ricorrenza natalizia, in case patrizie, in palazzi fastosi, allora aperti alla visita del pubblico, e sempre oggetto di confronto e di commenti, come per un avvenimento atteso da un anno all'altro.

Cantate e ninne-nanne venivano composte per l'occasione ed eseguite davanti ai presepi, a completare la duplicità dello spettacolo: il presepe e la folla che accorreva ad ammirarlo.
Emergono dal precedente anonimato, da artigiani divenendo artisti, distinte personalità: Pietro Ceraso, Michele Perrone, Lorenzo Vaccaro, i Patalano, Nicola Fumo, il veneto Giacomo Colombo, come maestri creatori della tipologia dei "pastori" nel trapasso dal Sei al Settecento; col graduale passaggio della creazione delle teste e delle mani dei manichini dall'intaglio nel legno alla modellazione nella creta; col raffinamento della coloritura smaltata in gara con le finezze della porcellana della fabbrica di Capodimonte; con l'industrioso perfezionamento dei vestiti e degli ornamenti, delle suppellettili e delle oreficerie, dei mobili e delle scenografie.

All'inizio del settecento, il progresso di queste innovazioni tecniche, l'importanza assunta dallo scenario (il "masso"), la riduzione delle figure alla misura "terzina" concorrono alla definizione della tipologia del presepe settecentesco, destinato ad acquistare rinomanza e a diffondersi anche fuori di Napoli, soprattutto in Spagna e in Germania.

Oggi si tende a sminuire l'importanza della partecipazione personale del re Carlo di Borbone alle fortune del presepe napoletano, discreditando con sospetto di invenzione cortigiana il racconto del contemporaneo Pietro d'Onofrio, che presentava il re al lavoro natalizio "con le regie sue mani ... ". Ma resta il fatto che in quel periodo di fecondo impulso allo sviluppo delle arti a Napoli, anche il presepe ebbe il suo primato.
Quello che prima era stato limitato dominio di figurari artigiani s'apri all'attività di artisti già affermati nel mestiere illustre della scultura.
Come già Lorenzo Vaccaro, così Matteo Bottiglieri, il Celebrano, e maggiore fra tutti Giuseppe Sanmartino portarono in questi otia gradevoli l'esperienza di un affinato magistero plastico e una più spontanea vena di felicità espressiva.
Si deve ad essi l'orientamento verso un gusto formale, che per naturale mimetismo altri artisti accolsero, finendo col costituire una scuola, una tradizione: Giuseppe Gori, Angelo Viva, Salvatore Di Franco, Lorenzo Mosca. Ma altri nomi si dovrebbero allineare fino a superare il secolo per inoltrarsi nel primo '800.

Per la sua stessa vastità e diffusione è da riconoscere nel presepe napoletano del '700, pur nella sua oscillazione fra la storia dell'arte e quella del costume e delle tradizioni popolari, un fatto culturale, come documento e specchio di un caratteristico momento della vita e del gusto settecenteschi.
Vi prese dominio la vociante e gesticolante vitalità di un popolo: come esso era, o come amava immaginarsi, che fa lo stesso.
Ancora oggi un presepe esercita il suo incanto col fasto e l'irruenza fiabesca della simultanea rappresentazione aneddotica, tutta racconto e cicaleccio, fra il sacro e il profano, fra il rito e la festa meticolosamente annotato dal vero, ma ricomposto con l'estro di una continua invenzione. Dove non si saprebbe dire se il divertimento di chi contempla sia paragonabile con quello di chi ha creato.